Autore: Dr. Francesco giubbolini - Psichiatra, Siena•1 giugno 2020
Il problema della terminologia psichiatrica è articolato. Ha anzituttouna valenza semantica: alcuni termini usati all’inizio della psichiatria per definire alcune condizioni cliniche derivavano dall’idea che si aveva all’epoca della malattia mentale. Questo problema comporta che con il cambiare della prospettiva scientifica sono stati introdotti termini diversi rispetto ai precedenti. C’è però anche una seconda questione sempre inerente alla terminologia psichiatrica: è questa relativa al fatto che si ritiene la sintomatologia psichiatria essere “plastica”, ovvero in epoche diverse e culture diverse compaiono espressioni sintomatologiche diverse che prima non esistevano e a cui viene attribuito un termine che prima non esisteva. (P.e) all’inizio della psichiatria esisteva il cosiddetto “modello unico della malattia mentale” secondo il quale esisteva un’unica forma morbosa, si sosteneva cioè che la malattia mentale era una sola e che però poteva poi assumeva, per ragioni diverse ed in parte ignote, forme diverse e diverse declinazioni: a queste forme venivano quindi poi dati dei nomi diversi. Oggi si ritiene, sulla base di quelle che sono le attuali conoscenze scientifiche - sebbene non vi sia un’assoluta certezza (ancora) - che esistano diverse forme di malattia mentale, ognuna delle quali dev’essere ricondotta a una specifica alterazione da cui deriva una terminologia che è radicalmente diversa da quella dei decenni e secoli precedenti A mò di esempio di quanto sin qui accennato: Isteria: quella che all’epoca si chiamava isteria (il cui significato riconduce al fatto si riteneva i sintomi potessero derivare da un eccesso di motilità dell’utero) oggi viene definita disturbo di conversione e rientra tra le sindromi somatoformi ovvero quelle patologie psichiche la cui la cui espressione sintomatologica fondamentale è di tipo somatico. Come terza istanza potremmo citare il seguente fatto: ci sono dei cambiamenti dettati dall’elemento c.d. “plastico” nella sintomatologia legato al contesto sociale e culturale nel quale il disturbo mentale si esprime: per esempio, i termini “attacco di panico” e “disturbo di panico” riconducono a un’espressione sintomatologica che 100 anni fa o non esisteva addirittura o era talmente poco frequente o significativa da passare pressoché inosservata. La tendenza alla sistematica classificazione nosografia ed alla “proliferazione” di una terminologia psichiatrica sempre più ampia è sottolineata dalla sempre maggiore importanza attribuita al DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) giunto ormai alla sua quinta edizione; solo per fare un esempio, nelle prime edizioni del manuale i disordini del comportamento alimentare erano sostanzialmente due: anoressia e bulimia, nell’ultima edizione del DSM a questi due disturbi si sono aggiunti quello che si definisce disturbo da alimentazione incontrollata, e quello “abbuffate notturne” (binge-eating disorder e night eating disorder). Dunque i fattori che contribuiscono all’ampliamento dei termini clinico-descrittivi e della nosografia psichiatrica sono : 1) l’ampliamento delle conoscenze scientifiche 2) la plasticità della sintomatologia 3) la tendenza a quella che potremmo definire come una “parcellizzazione” nosografica. Un quarto fattore (parzialmente sovrapponibile al terzo, ma non equivalente a questo): in passato i termini utilizzati avevano una connotazione più generica, oggi vengono denominati in maniera diversa e categorizzati in maniera molto più dettagliata e specifica. Quella che prima veniva genericamente definita sindrome ansiosa-depressiva oggi è denominata disturbo dell’adattamento di cui si riconoscono almeno cinque sottocategorie. Per tornare un attimo alla questione, precedentemente accennata, dei disordini dell’alimentazione : da tanti anni si conosceva una condizione di patologia, la più grave e la più tipica: l’anoressia mentale. Oggi all’interno dei disordini possiamo riscontrare diversi quadri clinici: anoressia mentale, bulimia nervosa, binge eating disorder, night eating disorder, disturbo da alimentazione incontrollata. Esiste dunque da quando sono stati introdotti i DSM una tendenza classificatoria, considerata da molti eccessiva, o di estrema categorizzazione nosografica. Un altro motivo è presumibilmente da ricercare in quella che si può definire l’espressione clinica di fondo: un disordine dell’alimentazione può assumere in specifici individui una connotazione specifica e particolare. Oltre a ciò, è anche da sottolineare il fatto che proprio i Disordini del Comportamento Alimentare sono un chiaro esempio di patologia che esiste solo in alcune culture e società. Quindi è chiaro come sia una patologia legata alle caratteristiche del contesto sociale, e come forma di devianza rispetto al medesimo. I motivi dunque per cui ci sono tutte queste sottoclassi all’interno della classificazione, è sia perché c’è una variabilità individuale che condiziona l’espressività clinica, sia perché vi è (probabilmente) un eccesso nel tentativo di categorizzare i casi clinici che si possono individuare come diversi sebbene la patologia di fondo sia sempre la medesima. Possiamo accennare anche al motivo per cui nascono i DSM fin dalla prima edizione: ed il motivo è quello di esprimere in modo univoco le diverse condizioni cliniche, in modo tale da poter “uniformare” le diagnosi cliniche e poter creare un protocollo valido per tutti gli operatori che si occupano di casi clinici. È nato probabilmente anche perché c’era una aspirazione alla scientificità che per molti anni è stata negata dal resto della medicina alla psichiatria, contemporaneamente è il tentativo di inquadrare le patologie psichiatriche in un’ottica medica scientifica che prevede segni e sintomi (eziologia=da dove/come nasce e patogenesi= come si sviluppa. C’è anche un insieme di criteri che sono di sintomatologia e di durata e esclusione (non riconducibili a altre patologie) per poter attribuire a un caso specifico un nome condiviso da più persone/medici/tecnici. Omaggio a F. Giubbolini, "La terminologia del settore della Psichiatria: analisi e proposte per l’ampliamento dei thesaurus del Nuovo soggettario". In merito elle conversazioni intrattenute sul tema.
Autore: Dr. F. Giubbolini - Psichiatra Siena•25 marzo 2019
Il Gioco d'Azzardo Patologico nella definizione e nell'inquadramento del DSM V - Precedentemente noto come Ludopatia o Azzardopatia. Caratteristiche cliniche del giocatore patologico e trattamenti terapeutici e riabilitativi | SIENA
Autore: Dr. F. Giubbolini, Psichiatra a Siena•24 febbraio 2019
L'aderenza al trattamento, o "compliance", è il grado con cui il il paziente segue le indicazioni terapeutiche e le raccomandazioni cliniche. Strategie per aumentare il grado di compliance
Autore: Dr. Francesco giubbolini - Psichiatra, Siena•1 giugno 2020
Il problema della terminologia psichiatrica è articolato. Ha anzituttouna valenza semantica: alcuni termini usati all’inizio della psichiatria per definire alcune condizioni cliniche derivavano dall’idea che si aveva all’epoca della malattia mentale. Questo problema comporta che con il cambiare della prospettiva scientifica sono stati introdotti termini diversi rispetto ai precedenti. C’è però anche una seconda questione sempre inerente alla terminologia psichiatrica: è questa relativa al fatto che si ritiene la sintomatologia psichiatria essere “plastica”, ovvero in epoche diverse e culture diverse compaiono espressioni sintomatologiche diverse che prima non esistevano e a cui viene attribuito un termine che prima non esisteva. (P.e) all’inizio della psichiatria esisteva il cosiddetto “modello unico della malattia mentale” secondo il quale esisteva un’unica forma morbosa, si sosteneva cioè che la malattia mentale era una sola e che però poteva poi assumeva, per ragioni diverse ed in parte ignote, forme diverse e diverse declinazioni: a queste forme venivano quindi poi dati dei nomi diversi. Oggi si ritiene, sulla base di quelle che sono le attuali conoscenze scientifiche - sebbene non vi sia un’assoluta certezza (ancora) - che esistano diverse forme di malattia mentale, ognuna delle quali dev’essere ricondotta a una specifica alterazione da cui deriva una terminologia che è radicalmente diversa da quella dei decenni e secoli precedenti A mò di esempio di quanto sin qui accennato: Isteria: quella che all’epoca si chiamava isteria (il cui significato riconduce al fatto si riteneva i sintomi potessero derivare da un eccesso di motilità dell’utero) oggi viene definita disturbo di conversione e rientra tra le sindromi somatoformi ovvero quelle patologie psichiche la cui la cui espressione sintomatologica fondamentale è di tipo somatico. Come terza istanza potremmo citare il seguente fatto: ci sono dei cambiamenti dettati dall’elemento c.d. “plastico” nella sintomatologia legato al contesto sociale e culturale nel quale il disturbo mentale si esprime: per esempio, i termini “attacco di panico” e “disturbo di panico” riconducono a un’espressione sintomatologica che 100 anni fa o non esisteva addirittura o era talmente poco frequente o significativa da passare pressoché inosservata. La tendenza alla sistematica classificazione nosografia ed alla “proliferazione” di una terminologia psichiatrica sempre più ampia è sottolineata dalla sempre maggiore importanza attribuita al DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) giunto ormai alla sua quinta edizione; solo per fare un esempio, nelle prime edizioni del manuale i disordini del comportamento alimentare erano sostanzialmente due: anoressia e bulimia, nell’ultima edizione del DSM a questi due disturbi si sono aggiunti quello che si definisce disturbo da alimentazione incontrollata, e quello “abbuffate notturne” (binge-eating disorder e night eating disorder). Dunque i fattori che contribuiscono all’ampliamento dei termini clinico-descrittivi e della nosografia psichiatrica sono : 1) l’ampliamento delle conoscenze scientifiche 2) la plasticità della sintomatologia 3) la tendenza a quella che potremmo definire come una “parcellizzazione” nosografica. Un quarto fattore (parzialmente sovrapponibile al terzo, ma non equivalente a questo): in passato i termini utilizzati avevano una connotazione più generica, oggi vengono denominati in maniera diversa e categorizzati in maniera molto più dettagliata e specifica. Quella che prima veniva genericamente definita sindrome ansiosa-depressiva oggi è denominata disturbo dell’adattamento di cui si riconoscono almeno cinque sottocategorie. Per tornare un attimo alla questione, precedentemente accennata, dei disordini dell’alimentazione : da tanti anni si conosceva una condizione di patologia, la più grave e la più tipica: l’anoressia mentale. Oggi all’interno dei disordini possiamo riscontrare diversi quadri clinici: anoressia mentale, bulimia nervosa, binge eating disorder, night eating disorder, disturbo da alimentazione incontrollata. Esiste dunque da quando sono stati introdotti i DSM una tendenza classificatoria, considerata da molti eccessiva, o di estrema categorizzazione nosografica. Un altro motivo è presumibilmente da ricercare in quella che si può definire l’espressione clinica di fondo: un disordine dell’alimentazione può assumere in specifici individui una connotazione specifica e particolare. Oltre a ciò, è anche da sottolineare il fatto che proprio i Disordini del Comportamento Alimentare sono un chiaro esempio di patologia che esiste solo in alcune culture e società. Quindi è chiaro come sia una patologia legata alle caratteristiche del contesto sociale, e come forma di devianza rispetto al medesimo. I motivi dunque per cui ci sono tutte queste sottoclassi all’interno della classificazione, è sia perché c’è una variabilità individuale che condiziona l’espressività clinica, sia perché vi è (probabilmente) un eccesso nel tentativo di categorizzare i casi clinici che si possono individuare come diversi sebbene la patologia di fondo sia sempre la medesima. Possiamo accennare anche al motivo per cui nascono i DSM fin dalla prima edizione: ed il motivo è quello di esprimere in modo univoco le diverse condizioni cliniche, in modo tale da poter “uniformare” le diagnosi cliniche e poter creare un protocollo valido per tutti gli operatori che si occupano di casi clinici. È nato probabilmente anche perché c’era una aspirazione alla scientificità che per molti anni è stata negata dal resto della medicina alla psichiatria, contemporaneamente è il tentativo di inquadrare le patologie psichiatriche in un’ottica medica scientifica che prevede segni e sintomi (eziologia=da dove/come nasce e patogenesi= come si sviluppa. C’è anche un insieme di criteri che sono di sintomatologia e di durata e esclusione (non riconducibili a altre patologie) per poter attribuire a un caso specifico un nome condiviso da più persone/medici/tecnici. Omaggio a F. Giubbolini, "La terminologia del settore della Psichiatria: analisi e proposte per l’ampliamento dei thesaurus del Nuovo soggettario". In merito elle conversazioni intrattenute sul tema.
Autore: Dr. F. Giubbolini - Psichiatra Siena•25 marzo 2019
Il Gioco d'Azzardo Patologico nella definizione e nell'inquadramento del DSM V - Precedentemente noto come Ludopatia o Azzardopatia. Caratteristiche cliniche del giocatore patologico e trattamenti terapeutici e riabilitativi | SIENA
Autore: Dr. F. Giubbolini, Psichiatra a Siena•24 febbraio 2019
L'aderenza al trattamento, o "compliance", è il grado con cui il il paziente segue le indicazioni terapeutiche e le raccomandazioni cliniche. Strategie per aumentare il grado di compliance
Autore: Dr. Francesco giubbolini - Psichiatra, Siena•1 giugno 2020
Il problema della terminologia psichiatrica è articolato. Ha anzituttouna valenza semantica: alcuni termini usati all’inizio della psichiatria per definire alcune condizioni cliniche derivavano dall’idea che si aveva all’epoca della malattia mentale. Questo problema comporta che con il cambiare della prospettiva scientifica sono stati introdotti termini diversi rispetto ai precedenti. C’è però anche una seconda questione sempre inerente alla terminologia psichiatrica: è questa relativa al fatto che si ritiene la sintomatologia psichiatria essere “plastica”, ovvero in epoche diverse e culture diverse compaiono espressioni sintomatologiche diverse che prima non esistevano e a cui viene attribuito un termine che prima non esisteva. (P.e) all’inizio della psichiatria esisteva il cosiddetto “modello unico della malattia mentale” secondo il quale esisteva un’unica forma morbosa, si sosteneva cioè che la malattia mentale era una sola e che però poteva poi assumeva, per ragioni diverse ed in parte ignote, forme diverse e diverse declinazioni: a queste forme venivano quindi poi dati dei nomi diversi. Oggi si ritiene, sulla base di quelle che sono le attuali conoscenze scientifiche - sebbene non vi sia un’assoluta certezza (ancora) - che esistano diverse forme di malattia mentale, ognuna delle quali dev’essere ricondotta a una specifica alterazione da cui deriva una terminologia che è radicalmente diversa da quella dei decenni e secoli precedenti A mò di esempio di quanto sin qui accennato: Isteria: quella che all’epoca si chiamava isteria (il cui significato riconduce al fatto si riteneva i sintomi potessero derivare da un eccesso di motilità dell’utero) oggi viene definita disturbo di conversione e rientra tra le sindromi somatoformi ovvero quelle patologie psichiche la cui la cui espressione sintomatologica fondamentale è di tipo somatico. Come terza istanza potremmo citare il seguente fatto: ci sono dei cambiamenti dettati dall’elemento c.d. “plastico” nella sintomatologia legato al contesto sociale e culturale nel quale il disturbo mentale si esprime: per esempio, i termini “attacco di panico” e “disturbo di panico” riconducono a un’espressione sintomatologica che 100 anni fa o non esisteva addirittura o era talmente poco frequente o significativa da passare pressoché inosservata. La tendenza alla sistematica classificazione nosografia ed alla “proliferazione” di una terminologia psichiatrica sempre più ampia è sottolineata dalla sempre maggiore importanza attribuita al DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) giunto ormai alla sua quinta edizione; solo per fare un esempio, nelle prime edizioni del manuale i disordini del comportamento alimentare erano sostanzialmente due: anoressia e bulimia, nell’ultima edizione del DSM a questi due disturbi si sono aggiunti quello che si definisce disturbo da alimentazione incontrollata, e quello “abbuffate notturne” (binge-eating disorder e night eating disorder). Dunque i fattori che contribuiscono all’ampliamento dei termini clinico-descrittivi e della nosografia psichiatrica sono : 1) l’ampliamento delle conoscenze scientifiche 2) la plasticità della sintomatologia 3) la tendenza a quella che potremmo definire come una “parcellizzazione” nosografica. Un quarto fattore (parzialmente sovrapponibile al terzo, ma non equivalente a questo): in passato i termini utilizzati avevano una connotazione più generica, oggi vengono denominati in maniera diversa e categorizzati in maniera molto più dettagliata e specifica. Quella che prima veniva genericamente definita sindrome ansiosa-depressiva oggi è denominata disturbo dell’adattamento di cui si riconoscono almeno cinque sottocategorie. Per tornare un attimo alla questione, precedentemente accennata, dei disordini dell’alimentazione : da tanti anni si conosceva una condizione di patologia, la più grave e la più tipica: l’anoressia mentale. Oggi all’interno dei disordini possiamo riscontrare diversi quadri clinici: anoressia mentale, bulimia nervosa, binge eating disorder, night eating disorder, disturbo da alimentazione incontrollata. Esiste dunque da quando sono stati introdotti i DSM una tendenza classificatoria, considerata da molti eccessiva, o di estrema categorizzazione nosografica. Un altro motivo è presumibilmente da ricercare in quella che si può definire l’espressione clinica di fondo: un disordine dell’alimentazione può assumere in specifici individui una connotazione specifica e particolare. Oltre a ciò, è anche da sottolineare il fatto che proprio i Disordini del Comportamento Alimentare sono un chiaro esempio di patologia che esiste solo in alcune culture e società. Quindi è chiaro come sia una patologia legata alle caratteristiche del contesto sociale, e come forma di devianza rispetto al medesimo. I motivi dunque per cui ci sono tutte queste sottoclassi all’interno della classificazione, è sia perché c’è una variabilità individuale che condiziona l’espressività clinica, sia perché vi è (probabilmente) un eccesso nel tentativo di categorizzare i casi clinici che si possono individuare come diversi sebbene la patologia di fondo sia sempre la medesima. Possiamo accennare anche al motivo per cui nascono i DSM fin dalla prima edizione: ed il motivo è quello di esprimere in modo univoco le diverse condizioni cliniche, in modo tale da poter “uniformare” le diagnosi cliniche e poter creare un protocollo valido per tutti gli operatori che si occupano di casi clinici. È nato probabilmente anche perché c’era una aspirazione alla scientificità che per molti anni è stata negata dal resto della medicina alla psichiatria, contemporaneamente è il tentativo di inquadrare le patologie psichiatriche in un’ottica medica scientifica che prevede segni e sintomi (eziologia=da dove/come nasce e patogenesi= come si sviluppa. C’è anche un insieme di criteri che sono di sintomatologia e di durata e esclusione (non riconducibili a altre patologie) per poter attribuire a un caso specifico un nome condiviso da più persone/medici/tecnici. Omaggio a F. Giubbolini, "La terminologia del settore della Psichiatria: analisi e proposte per l’ampliamento dei thesaurus del Nuovo soggettario". In merito elle conversazioni intrattenute sul tema.