Psichiatria: il termine è stato coniato in epoca illuministica per designare quella branca della medicina che si occupa delle malattie mentali che nell'antichità e nel medioevo erano considerate di origine sovrannaturale, divina o demoniaca.
Le malattie psichiatriche più diffuse
sono la depressione, l’ansia, i disturbi della personalità, i problemi alimentari (DCA, disordini del comportamento alimentare) e quelli collegati all’uso e abuso di alcol e sostanze stupefacenti, nonché al controllo degli impulsi.
A questi si aggiungono la depressione post-partum
(vedi) e altri disagi declinati ‘in rosa’.
Da un’indagine della società di psichiatria emerge come, rispetto ai pazienti già in cura, nei nuovi accessi si dimezzano i disturbi dell’area psicotica (’solo’ per il 14%) e aumentano al contrario i disturbi d’ansia (26%) e d’umore (21%).
Negli ultimi 30 anni sono mutati anche i fattori di rischio che non sono più medico-biologici e genetici ma anche psico-sociali e ambientali. Passano circa 18 mesi prima che un giovane paziente arrivi alla diagnosi e passi al trattamento. Il proposito è quello di definire percorsi specifici per ciascun problema, abbattendo la ‘latenza’ fra primi sintomi e diagnosi.
Francesco Giubbolini psicoterapeuta a Siena
Una breve "storia" della psichiatria sino al giorno d'oggi
Nel Settecento Chiarugi in Italia e Pinel in Francia dettano le prime norme per un trattamento medico razionale dei malati di mente
fino ad allora reclusi in condizioni disumane.
Sempre in Francia nel 1838 Esquirol pubblica un trattato in cui compare una prima distinzione nosografica tra «pazzi»
che dalla normalità approdano alla follia, e «deficienti mentali»
che presentano tratti insufficienza fin dalla nascita.
Negli anni successivi gli studi psichiatrici si affermano adottando l'osservazione clinica e il metodo anatomo-patologico
in base al presupposto che le malattie mentali sono determinate da alterazioni o lesioni del cervello.
Questa impostazione organicistica
promuove quella scienza, la neuropsichiatria, che, nata dalla persuasione dell'inscindibilità tra malattia mentale e malattia neurologica, si esprime oggi come ricerca dei rapporti tra approccio psichiatrico ed approccio neurologico.
La psichiatria ottocentesca, oltre che organicistica, era descrittiva, quindi con un interesse prevalente per la classificazione delle malattie mentali sulla base dei sintomi, come nell'opera di Kraepelin
a cui si ispirò anche la psichiatria italiana con Morselli.
Con l'avvento della psicoanalisi,
e con la sua progressiva acquisizione da parte della psichiatria, si passò dal livello descrittivo a quello dinamico
dove all'interpretazione organicistica del disturbo mentale si sostituì l'interpretazione psicogenetica, interessata allo studio dei processi e dei meccanismi psicologici che sono alla base della malattia mentale.
Con questa novità metodologica dalla psichiatria, che si aprì a ventaglio in vari indirizzi, si separò la psicopatologia, che ha fatto proprio il concetto di malattia come «processo». le cui cause vanno cercate in ambito psicologico
con metodi differenti rispetto a quelli impiegati dalle scienze biologico-naturalistiche.
Nell'ambito della ricerca in psichiatria si sono sviluppati modelli ed indirizzi diversi: quello scientifico-naturalistico e quello dinamico.
Il modello naturalistico, detto anche medico-biologico, si richiama alla fondazione anatomo-cerebrale e fisiologico-cerebrale della malattia mentale dove la malattia, e non la persona del malato, si configura come orizzonte tematico a partire dalle opere di Griesinger e di Kraepelin, che collocano la psichiatria nel solco delle scienze naturali, regolate dalla concezione di una causalità lineare.
Oggi questo indirizzo, che costituisce ancora la base di tanta prassi psichiatrica, si avvale dei contributi della genetica per il ruolo dell'ereditarietà nella malattia mentale, della neuropsicologia per le correlazioni tra gli aspetti psicopatologici e le alterazioni delle strutture anatomiche, dell'endocrinologia per le alterazioni dovute ai disturbi della regolazione e della reattività del sistema ormonale, della neurologia per il rilievo che i fattori biologici hanno nei disturbi degenerativi, infiammatori, tossici, traumatici, neoplastici, ecc., della psicofarmacologia per il contributo alla terapia psichiatrica e per il numero significativo di ricerche rese possibili in ambito neurofisiologico.
Questo indirizzo ha costruito il vocabolario della clinica e della nosografia, raccogliendo i sintomi in unità sindromiche costruite in base alla loro apparenza fenomenica, alla loro essenzialità o accessorietà a seconda che i sintomi siano sempre presenti e fondamentali o incostanti e concomitanti.
L'indirizzo psicodinamico (vedi anche la pagina del sito su psichiatria dinamica)
si avvale dei contributi offerti dalla psicoanalisi e più in generale dalla concezione psicodinamica dell'apparato psichico, con la valorizzazione degli aspetti psicologici e interpersonali rispetto a quelli medico-biologici.
Presupposto fondamentale, anche se non condiviso da tutte le letture psicodinamiche
della psiche, è la nozione di inconscio
dove sono contenute le tendenze pulsionali-emotive di cui il soggetto non ha coscienza. A partire da questo presupposto si ha una lettura del disturbo psichico in termini di confitto fra istanze psichiche diverse, con azione e reazione di quelle tensioni biologiche che sono le pulsioni di fronte ai dati e agli eventi della realtà. La terapia in questa prospettiva prevede una presa di coscienza di tale conflittualità, con progressivo superamento attraverso modificazione della relazione dei termini in conflitto.
Dr. Francesco Giubbolini Psichiatra e Psicoterapeuta a Siena